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Studenti

Le cifre parlano chiaro e ci dicono che, ad oggi, nelle scuole italiane studia più di mezzo milione di studenti stranieri. Questo numero è ovviamente maggiore rispetto a quello di qualche decennio fa, ma anche profondamente diverso dal punto di  vista della composizione: ormai sempre di più sono gli studenti che tanto stranieri non sono, essendo nati in Italia da genitori stabilitisi nel nostro paese anche da molti anni. Prima di affrontare l’argomento bisogna fare una considerazione triste quanto vera: esistono stranieri più stranieri di altri. È piuttosto inutile, infatti, parlare degli studenti che si trovano in Italia per studio (ad esempio gli universitari del progetto Erasmus) mentre è bene riflettere su quegli studenti delle scuole elementari, medie e superiori nati fuori dall’Italia o da genitori stranieri, essendo loro i ragazzi davvero a rischio emarginazione. È infatti nell’età della formazione vera e propria, quella in cui la scuola prima ancora che insegnare nozioni insegna a rapportarsi con gli altri, che bisogna costruire un’armonica convivenza tra bambini italiani e bambini stranieri. Con questo si intende non che bisogna insegnare ai bambini italiani a tollerare quelli stranieri: la tolleranza è un concetto estremamente razzista, che presuppone in sé una superiorità intellettuale di chi tollera rispetto a chi è tollerato. L’unica cosa che bisogna fare, paradossalmente, è non insegnare niente. L’unica cosa da fare è lasciare che i bambini interagiscano e si rapportino tra di loro, senza inculcare una cultura dello “straniero da accettare” che per quanto indubbiamente sia sostenuta in buona fede, porta a risultati spesso opposti. Fa sorridere infatti l’idea delle classi ponte portata avanti da qualche brillante politico col nobile scopo di favorire l’integrazione! Una classe di soli studenti stranieri dovrebbe favorire l’integrazione? Aiutarli a imparare l’italiano? Per quanto sicuramente non si debba paragonare una classe ponte a un ghetto, come è stato fatto da qualcuno,  non si può nemmeno immaginare di riunire i bambini stranieri in una sola classe: sia, dal punto di vista pratico, perché è evidente come il modo migliore per imparare una lingua sia stare a contatto con chi quella lingua la parla, sia perché gli studenti di una eventuale classe ponte finirebbero quasi sicuramente per isolarsi dal resto dei bambini. Per tutto quanto detto finora è assolutamente inconcepibile il polverone mediatico sollevato qualche tempo fa dall’elezione in una scuola torinese di un rappresentate di istituto di colore. È imbarazzante pubblicizzare l’integrazione. L’integrazione deve essere una cosa assolutamente naturale, qualcosa su cui non si dovrebbe nemmeno discutere. Nel momento in cui un rappresentante di colore di una scuola torinese sarà solo un rappresentante di una scuola torinese, allora sì potrà davvero parlare di integrazione.

Tomas Mascali