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The hunting party

Anno 2000. Il reporter di guerra Scott Anderson, appena tornato dalla Bosnia, pubblica sul giornale Esquire un articolo intitolato “What I did on my summer vacation” (Cosa ho fatto durante le mie vacanze estive) in cui racconta la vera storia a cui si è ispirato il regista Richard Shepard per girare il film “The Hunting Party”.

Un famoso giornalista di guerra, Simon Hunt (Anderson nella realtà), ed il suo fidato operatore Duck girano le zone di guerra più pericolose per raccontare con follia ma anche razionalità la cruda realtà dei conflitti. I due sono sono all’apice del successo quando si trovano a confrontarsi con la guerra in Jugoslavia. Sconvolto per l’atroce uccisione della donna bosniaca di cui si era innamorata, Hunt perde la testa in diretta televisiva. È la fine della sua carriera. Hunt passa i successivi 5 anni come giornalista freelance in giro per il mondo, Duck, invece, diventa il principale cineoperatore della rete per cui lavora. Dopo 5 anni le loro strade si ricongiungono. Duck si reca a Sarajevo e lì inaspettatamente incontra nuovamente Hunt, il quale ha in testa un progetto folle: mettersi sulle tracce della “Volpe”, il principale responsabile dei genocidi in Jugoslavia e uno tra i principali ricercati al mondo. Hunt dice di voler semplicente intervistare la “Volpe” Boghanovic (in realtà Karadzic) ma segretamente serba antichi rancori. Per Hunt è occasione di vendetta e di rivincita, per Duck è la possibilità di tornare a “vivere” il vero giornalismo. Accompagnati da Benjamin, figlio del vice-boss della rete, i due iniziano l’avventurosa quanto rischiosa caccia. I tre, oltre che con la fitta rete di protettori della “Volpe”, dovranno anche subire l’ostruzionismo degli agenti della comunità internazionale.

Shepard, nonostante qualche piccola libertà narrativa nella sceneggiatura, è riuscito a mostrare la tragedia del popolo bosniaco in tutta la reale drammaticità. Egli riesce a mettere in evidenza le atrocità che questo popolo ha subito durante il conflitto ma riesce anche a sottolineare l’assurdo comportamento della comunità internazionale che trova insensate giustificazioni per non catturare i criminali di guerra. “Il fatto che queste persone siano ancora alla macchia dopo oltre dieci anni è un insulto alla memoria delle vittime del genocidio bosniaco”, dice il regista.

Il film non risulta lento e pesante per via dei comportamenti talvolta comici dei personaggi. Shepard riesce sapientemente a mescolare l’ironia con la serietà della tematica e porta sullo schermo una storia, una verità, una realtà che tutti dovrebbero conoscere per iniziare a riflettere.

Diego Bonomo