Pubblicato il: 6 Novembre, 2009

Tornatore ai Benedettini

copertina libroCon il suo sorriso timido, “Peppuccio” come lo chiamano gli amici, monopolizza l’attenzione di un’affollatissima Aula Magna del monastero dei Benedettini. L’incontro di giorno 5 Novembre si inserisce all’interno della manifestazione “Conversazioni in Sicilia”, in collaborazione con il Teatro Stabile di Catania – Libri in scena e “La Sicilia”. E l’opera protagonista dell’evento è “Baaria”, scritto a quattro mani da Giuseppe Tornatore e Pietro Calabrese, edita da Rizzoli. Dopo l’introduzione del preside della facoltà di Lettere e Filosofia, Enrico Iachello, efficace a smorzare un po’ l’emozione che aleggia nell’aula, Pietrangelo Buttafuoco ringrazia e presenta gli appuntamenti, a dir poco allettanti, della rassegna “Libri in cortile”, iniziata in estate al Cortile Platamone e che proseguirà in inverno al Teatro Ambasciatori. A questo punto il moderatore Domenico Tempio, vice direttore de “La Sicilia”, pone una serie di quesiti a Calabrese e Tornatore. Innanzitutto il primo illustra com’è suddiviso “Baaria”: una prima parte in cui si parla di come Tornatore ha avuto l’idea di non fare “Baaria” e di come invece i suoi produttori lo abbiano convinto; nella seconda parte è protagonista l’infanzia, l’adolescenza e la giovinezza di “Peppuccio” a Bagheria, la scoperta della fotografia e del cinema; nella terza parte vengono messe in luce le difficoltà di realizzazione del film. Un film che Tornatore avrebbe voluto fare semmai a 60 anni, forse perché a quell’età si ha un rapporto migliore con la propria memoria o forse era solo un modo per prendere in giro se stesso. “Baaria” era un progetto che da tanto tempo lui portava con sé e dopo 3 anni di duro lavoro alla fine è uscito fuori un capolavoro. Le domande poste da Tempio sono spesso pungenti: «Oggi tuo padre avrebbe visto la politica come mito positivo?» e Tornatore risponde: «forse no, ma continuerebbe a pensare che ci sia ancora la possibilità di una buona politica». Bellissimi i passaggi del discorso di Calabrese e Tornatore in cui incitano la platea, formata per l’80% da studenti, a non arrendersi, così come ha fatto “Peppuccio”, partito da Bagheria a 27 anni per la città eterna, una Roma in cui non conosceva nessuno, e da solo, accompagnato da tanta forza di volontà e dal talento, è riuscito a farcela e a diventare un punto di riferimento del cinema internazionale, vincendo persino l’Oscar a 33 anni. Tuttavia l’umiltà contraddistingue ancora il mito Tornatore. Ammette, e con lui anche Pietro Calabrese, di essere stato fortunato, e entrambi si divertono a raccontare curiosi aneddoti riportati nel libro. Tantissimi gli argomenti trattati, dalla questione del dialetto del film, all’ambientazione, ai problemi legati alla ricostruzione della scenografia in Tunisia. Interviene anche il direttore del Teatro Stabile catanese, Dipasquale, ponendo l’accento sulla stupenda scena finale del film, una trovata espressiva, secondo Tornatore, che gli ha permesso di evitare che il film diventasse storico. E con la fine, anche gli intriganti simbolismi che costellano il film contribuiscono a far si che il realismo non sia l’unica chiave possibile di lettura del reale perché «forse tutto è un sogno, ma forse no».

Giuseppina Cuccia

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