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Una siciliana contro la mafia (giornalistica)

Graziella Proto è una giornalista siciliana, donna energica e coraggiosa, folgorata dal fascino travolgente di Giuseppe Fava e coinvolta nel profondo, trascinata dentro la vicenda de “I Siciliani” e dell’impegno politico e giornalistico di resistenza. La sua storia è tutta da ascoltare, a noi ne ha regalato un pezzo per riflettere ed emozionarci.

Iniziamo a con “I Siciliani” e quelle famose cambiali…

«Io collaboravo con Fava sin dall’inizio, girando insieme a lui nelle scuole per parlare di antimafia, ma mi dividevo tra il lavoro all’Università, l’impegno politico, i figli. Fava mi ha affascinata e mi ha fatto conoscere altri grandi maestri, come Biagi e Curzi… sono soddisfazioni ed esperienze bellissime che mi hanno marchiata a vita, nel bene e nel male. Dopo l’omicidio di Fava, dato che lui mi aveva chiesto spesso di entrare a far parte della redazione in maniera più concreta, mi sono sentita in dovere di compiere una scelta: lasciare tutto e trasferirmi lì in redazione, dove divenni amministratrice della cooperativa e collaboratrice del giornale. Le famose cambiali, firmate per aumentare il capitale sociale della cooperativa, le firmai quasi tutte  – ma non solo –  io per togliere dai guai i ragazzi del giornale. Non avevamo introiti perché non avevamo pubblicità né aiuti di alcun tipo: possedevamo solo i macchinari ma ci serviva la carta, non riuscivamo a pagare le bollette e alla fine il fallimento avvenne per somme davvero irrisorie.»

Lei ha rischiato però la casa, parecchi anni dopo il fallimento. Chi l’ha aiutata?

«Per quasi 25 anni vi fu silenzio, non si parlo più del fallimento della cooperativa, ma di punto in bianco arrivò una lettera di pignoramento della mia casa. Pochi giorni dopo arrivò anche ad altri membri del consiglio d’amministrazione e devo dire che è stata una fortuna, perché unendo le forze siamo riusciti a farne una battaglia politica, appellandoci al diritto di vedere riconosciuti i meriti per la nostra attività antimafia, anziché essere puniti, dallo Stato. Devo dire che si è risolto tutto brillantemente anche grazie alla solidarietà della gente, che ha dimostrato di non aver dimenticato.»

Il nuovo progetto editoriale, Casablanca [1]: parliamone.

«Con Casablanca ho ricominciato da capo ed è andata bene: non è cosa da poco riuscire a stare per due anni in edicola nonostante le reticenze degli edicolanti, che spesso nascondevano le copie… adesso la rivista è online, mi piace come progetto. E sto pensando di riproporre anche “Sbavaglio”, il convegno sull’informazione indipendente, anche se ho qualche dubbio, molti giornali riescono ad ottenere dei finanziamenti sotto banco e per loro tanto basta…»

A tal proposito, qual è secondo lei il limite dell’informazione indipendente in Sicilia?

«Le piccole testate indipendenti sono come tante goccioline d’acqua, e una goccia non scalfisce l’oceano. Si soffre della patologia dell’orticello, non c’è volontà di aggregazione, ci ho provato con Orioles ed il progetto “Sbavaglio” ma senza successo, anche perché senza soldi non si può realizzare nulla, nel concreto. Realtà locali come Telejato fanno informazione, ma Telejato rischia di sparire da un giorno all’altro a causa di banalissime bollette! I finanziamenti all’editoria vanno alle grandi testate, ma da un punto di vista burocratico e pratico non c’è modo di richiederli e ottenerli. »

Un’idea per sconfiggere il sistema-Ciancio?

«Premetto che il quotidiano “La Sicilia” non fa informazione, ma vende notizie, selezionando quelle pubblicabili da quelle da cestinare perché in conflitto con gli interessi di tipo economico- commerciale-politico che gravitano intorno al giornale. Catania è sotto una cappa di piombo da troppo anni ormai, ma finché non riusciremo ad unirci, continueremo ad essere piccole gocce d’acqua. Che comunque nel loro piccolo riescono ad avere effetti positivi nella realtà: se tanti anni fa ci fossero stati veri giornalisti a raccontare le porcate che combinava Vito Ciancimino anziché dire che la mafia era solo “una cosa per fare cinema”, molto probabilmente si sarebbero evitati tanti eventi dolorosi, di sangue.»

Ornella Balsamo