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Verga e la Sicilia della fantasia letteraria

Verga e la letteratura verista hanno cristallizzato una Sicilia di carattere prevalentemente rurale.

L’hanno presentata all’immaginario collettivo come terra di pescatori, zolfatari, contadini, lettighieri, rappresentanti ecclesiastici adulatori di denaro e potere. Un territorio di tradizioni, credenze superstiziose, festività religiose, ma anche di prevaricazioni, sopraffazioni e disonestà. Immagine di una Sicilia che è sopravissuta fino agli anni ’60- ’80 del Novecento.
Chi non ha mai letto almeno una delle Novelle Rusticane [1]? Lì la Sicilia è presentata come una terra oscurata dalla fame e dalla miseria, con contadini che lavorano ininterrottamente tra la Piana di Catania e le pendici dell’Etna.
Verga analizza la natura ambigua del rapporto dei siciliani con il potere. Descrive la complessità di una condizione sociologica caratterizzata dalla forza (non necessariamente fisica, ma legata al prestigio e al potere sociali) come strumento di misura nella conduzione dei rapporti tra le classi, superiore rispetto persino ai concetti di Giustizia e Ragione. Gli umili soggetti della comunità sociale sono, per lui, governati dalla logica dei reverendi, dei galantuomini, dei baroni (dei cosiddetti ‘cappelli’) e si sdoppiano nei loro sentimenti di astio (per una sottomissione forzata) e di segreta ammirazione, nei confronti della giustizia del sindaco e di altre personalità socialmente superiori, in quanto prontamente abili nel manipolare la legge affinché venga rivolta a loro favore. 
Ma Verga nella sua produzione, ed è qui il punto, ha evidenziato i meccanismi sociali e gli elementi statici delle zone di periferia, lontane dall’amministrazione centrale, dall’ urbe, da quella Catania [2] che, proprio in quegli anni, cominciava a conoscere il progresso; un progresso che un illustre letterato come Mario Rapisardi (impegnato civilmente) definiva diabolico, ma necessario, inevitabile e non penalizzante. La Catania evoluta, sulla quale cominciavano a fluire i primi investimenti (per il riassetto urbano, per l’acquedotto, per il progetto di una circumetnea), in Verga  non trovava spazio e con  I Malavoglia, pubblicati  nel 1881, è nato  il mito di una Sicilia che si sarebbe radicata, indelebilmente, nella mente dei suoi lettori. Anni dopo Verga si chiuse in un impenetrabile e irreversibile silenzio: quale la causa? Il pentimento, la presa di coscienza di una deformazione operata da lui della sua Sicilia? Noi sappiamo solo che nelle lettere all’amico Capuana egli mostrava del rammarico per la reazione del pubblico alle rappresentazioni teatrali di Cavalleria rusticana, poiché capiva che quel pubblico andava in teatro solo per vedere le coltellate.
A distanza di anni non è stato decifrato quel suo silenzio, non resta che lasciare ai posteri l’ardua sentenza.

 

Sabina Corsaro