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Virus per una nuova guerra batteriologica

Guerra batteriologica, un pericolo concreto che avanza con il nuovo millennio e con attuali e antichi batteri riproposti in laboratorio.

“E quando ebbe aperto il quarto suggello, io udii la voce della quarta creatura vivente che diceva: Vieni. Ed io vidi, ed ecco un cavallo giallastro; e colui che lo cavalcava avea nome la Morte […]”

Questo è uno dei più famosi passi dell’Apocalisse di Giovanni. Nella Bibbia la morte ha un senso figurato e viene accostata più che a un soggetto fisico, alle cause materiali che portano alla morte: fame, carestia, guerra, malattie. Proprio quest’ultimo punto risulta il più interessante da approfondire. Infatti, nella Bibbia, il termine ebraico “θανατος” indica non tanto la morte personificata ma bensì la mortalità causata dalle epidemie, in particolare dalla peste. Nonostante un ceppo letale di “peste polmonare” (causa di morte in Europa e in Asia) si faccia risalire solo alla prima metà del XIV secolo, in realtà questo tipo di virus (diffuso a causa della saliva degli infetti), era tristemente noto anche in tempi più remoti. Tanto è vero che Giovanni, nella Bibbia, lo identifica nella morte, attribuendogli le vesti di una potente “arma” che in nome di Dio si andava diffondendo nel mondo, come un castigo. Nel 1347 durante la battaglia che coinvolse Genova, nella difesa del porto di Caffa (Mar Nero), contro l’espansione dei Tartari, furono adottate pratiche di guerra batteriologica, proprio con l’utilizzo della peste come arma di distruzione. I Tartari scagliavano contro l’esercito nemico, attraverso le catapulte, i cadaveri degli appestati e in poco tempo l’esercito veniva decimato dall’epidemia. Fu proprio a causa del ritiro in patria, attraverso le imbarcazioni, dei superstiti dell’esercito genoano che la peste si diffuse rapidamente in tutta Europa. Stesso metodo fu utilizzato dagli inglesi, per decimare le popolazioni Maori che stazionavano in Nuova Zelanda. Un metodo sofisticato e scientifico ma non per questo meno letale: accompagnare un esercito di prostitute infette lungo le strade delle città fino a decimare l’intera popolazione così da ripopolare le terre con le proprie genti. E’ su questa base che si fondano i timori che le battaglie del nuovo secolo (il 900, in tal senso, è stato testimone scomodo) possano “giocarsi” su tavoli imbanditi di morte chimica, contornate dal silenzio più totale. Già negli anni ’50 e ’60 (in piena guerra fredda), Unione Sovietica e USA [1] si scontravano su un campo minato nel tentativo di riuscire a gestire attraverso i laboratori il ceppo della peste polmonare. Le cronache parlavano di un rischio concreto che la peste potesse “tornare ad essere” un’arma batteriologica letale. Nonostante gli anni ’70 segnarono un rallentamento e un primo tentativo di disarmo, con gli anni ’80 e gli anni ’90, si è tornato ferocemente a parlare di armi chimiche. Restano emblematici i casi dell’Isola di Gruinard [2] (tristemente nota per esperimenti sull’antrace) e l’Isola di Vozrozhdeniye [3] (oggi tra il Kazakistan e l’Uzbekistan) dove le spore di antrace furono scaricate dopo essere state rese innocue. Recenti studi, che hanno coinvolto il governo americano, hanno portato alla luce dati allarmanti: Il posto risulta essere una vera e propria miniera batteriologica, se si considera che da rilevazioni fatte, i batteri dell’antrace risultano ancora efficaci e prelevabili per future applicazioni. Discorso a parte andrebbe fatto per l’ebola, un potente virus, anch’esso di eziologia sconosciuta, attribuito ad un’infezione scoperta nel 1976 nel Congo (Africa). Un virus tanto potente quanto letale capace di scatenare sull’uomo una violenta febbre emorragica. Di recente sta passando agli onori della cronaca per una serie di casi (parte anche letali) localizzati in Guinea (Africa), dove è stato inviato, in collaborazione con “Medici senza frontiere”, anche un team di ricercatori italiani. Nonostante si fosse diffusa la notizia di un caso accertato in Canada, la notizia poi si è dimostrata infondata e il virus pare circoscritto in alcune zone dell’Africa. Gli scienziati hanno assicurato che questo tipo di virus, essendo di natura difficile da controllare, perché imprevedibile e nella maggior parte delle volte asintomatico per lungo tempo, risulta di difficile applicazione in sede di laboratorio, come arma batteriologica. Stesso discorso per l’HIV, meglio noto come AIDS [4], che ogni anno provoca migliaia di morti in tutto il mondo. C’è dunque una correlazione tra le stime che parlano di un pianeta, il nostro, tendente al sovrappopolamento e l’avanzare di certe patologie sconosciute? Rifacendosi alle teorie dell’economista americano Robert Malthus (1766-1834) la risposta sarebbe preoccupante. È davvero l’Africa che conosciamo, quella dimenticata e lasciata in condizioni sanitarie difficili? Una situazione determinata dalla mancanza di beni primari, che passa alla ribalta delle cronache giusto per criticare l’ondata di immigrazione che investe quotidianamente il “Vecchio continente”. Oppure è un megalaboratorio a cielo aperto, dove vengono sperimentati batteri e virus, su cavie umane? E’ proprio lì che si gettano le basi per una nuova guerra batteriologica globale?

Girolamo Ferlito