Lavoro: liste nere, raccomandazione e curriculum
Il lavoro è un problema generazionale che si trascina nel corso dei secoli come un’esigenza vitale.
Un’esigenza che va concretizzandosi nella ricerca di cibo, di sostentamento, nel preservare la propria salute, per godere i frutti di una vita lunga e dignitosa. Il comma 1 dell’art. 1 della Carta Costituzionale ce lo ricorda attraverso uno dei principi fondamentali su cui si basa l’Italia, in quanto Stato: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.” Una repubblica, quella italiana, che si fonda indubbiamente sul lavoro degli uomini che la compongono. È però l’articolo 4, nei suoi due comma, che ci viene incontro sottolineando l’importanza del lavoro: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. E ancora il comma due recita: “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.” È evidente come in queste poche frasi si concentri il concetto di statalismo e il rapporto di reciproci intenti tra cittadino e Stato così come era stato concepito dai “nostri” padri fondatori. L’evolversi delle esigenze economiche e il mercato del lavoro passano da una concezione conservatrice come l’idea stessa del “posto fisso” degli anni 60-70 fino a privilegiare il bisogno di flessibilità a cui si rivolse la legislazione moderna tra gli anni ’80 e gli anni ’90 quando, una profonda crisi del mercato portò a rivedere i canoni del contratto di lavoro. L’episodio che scatenò l’esigenza di regolamentare questo “nuovo modo” di fornitura occupazionale, volto alla flessibilità, si verificò nel 1993, quando, l’imprenditore americano di Marghera (VE), naturalizzato italiano, Charles Hollomon creò una sorta di agenzia intesa a raccogliere i curricula. Questi venivano inseriti all’interno di un database messo a disposizione delle aziende che cercavano manodopera. Nel giro di poco tempo l’imprenditore registrò un incredibile successo che portò ad un’adesione record di 200.000 iscritti. Nasceva la figura dell’intermediario che collegava il lavoratore direttamente all’azienda in cerca di personale. Il nome di interinale, deriva proprio da interim, dal latino, tradotto in temporaneo). Oggi l’Italia (ma anche il resto d’Europa), brulica di agenzie interinali che si assicurano finanziamenti europei a colpi di iscritti, attraverso metodologie al limite del legale. Tra queste spicca “l’annuncio civetta”. Chi non è stato attirato, almeno una volta, presso agenzie interinali come: Adecco, ManPower, Umana, Randstad, ecc. grazie agli annunci di lavoro affissi sulle vetrate d’ingresso? Oppure, ancora, attraverso annunci di lavoro su internet? E dopo la prassi, che prevedeva l’inserimento nel database dell’agenzia, si è sentito rispondere: “l’annuncio è scaduto!”, oppure, “non c’è nessun profilo che corrisponde alle sue competenze”, oppure ancora, “l’azienda ha ritirato l’annuncio”, per poi scoprire dopo mesi e mesi che quell’annuncio è sempre presente sia sul web che sulla stessa vetrata dell’agenzia? Da qui la terminologia di “annuncio civetta”, giusto per attirare. Un altro fenomeno che, solcando i mari della leggenda metropolitana, si sposa con un periodo di crisi così violento come quello che sta investendo il mondo intero, è quello delle famigerate “blacklist” (liste nere). Una sorta di elenco non ufficiale, che circola sottobanco tra le agenzie, dove vengono inseriti i nominativi dei soggetti non graditi per eventuali assunzioni. Soggetti considerati polemici, rissosi, poco avvezzi a determinati turni, che cambiano spesso lavoro, che hanno avuto diverbi con il datore di lavoro, ecc. Diversi blogger si sono confrontati in materia, molti si sono rivolti anche a sindacati o ad associazioni per la tutela del lavoratore, avendo inteso un periodo di totale assenza di colloqui di lavoro, di chiamate, nonostante curriculum corposi, come l’evidente presenza del proprio nominativo all’interno di queste liste nere. Alcune dichiarazioni di ex dipendenti di agenzie interinali pare confermino la presenza di questa prassi, discriminante e del tutto illegale, ma non c’è nulla di ufficiale. In fondo, le agenzie interinali non sono altro che una forma legalizzata di raccomandazione; il datore di lavoro è il cliente, il lavoratore è solo una merce di scambio e come tale va sfruttata ad uso e consumo, finché serve. Nel 2009 spicca un provvedimento dell’Antitrust che ha punito, in Francia, tre note agenzie interinali (Adecco, ManPower e Randstad) per pratiche illegali e non conformi alla concorrenza sul mercato del lavoro (si parla di multe sull’ordine dei 100 milioni di euro). Una notizia clamorosamente snobbata dai principali media italiani. Su una cosa, però, vale la pena soffermarsi e riflettere: se su 100 curricula, l’esaminatore ne individua una decina meritevoli di approfondimenti, su quella decina di carriere, apparentemente uguali, con le stesse competenze, con la stessa esperienza, qual è la “discriminante” che permette ad un lavoratore di emergere rispetto ad un altro? Il modo di vestirsi? Il fatto che sia più simpatico? O piuttosto che non sia sposato/a? O che non abbia figli? Tutte discriminanti illegali e anticostituzionali perché contrarie al principio enunciato dall’art. 4.
Girolamo Ferlito