Pubblicato il: 27 Gennaio, 2009

Un corpo estraneo

corpo_estraneoLe pratiche di modificazione del corpo, a scorno delle folte schiere di sostenitori del look “acqua e sapone”, esistono da millenni e assumono le forme più svariate: piercing, tatuaggi, bruciature, fasce e anelli. Esse nascono insieme alla religione,  alla musica, ai riti e sono praticate in ogni angolo del globo,  con modalità e scopi certamente diversi: nell’antico Egitto si fasciava il cranio dei neonati di sangue reale per fargli assumere la conformazione dolicocefala – ossia dal cranio allungato – tipica delle rappresentazioni delle divinità; quindi tale consuetudine aveva una funzione sociale e religiosa. In Cina invece era diffusa, fino agli anni ’50 del Novecento, la fasciatura dei piedi per conferire loro una forma affusolata e dimensioni piccolissime. È possibile effettuare una triplice lettura del significato di questa usanza: una è di tipo sociale, in quanto agli inizi era riservata solo a bambine nobili, che non avrebbero avuto bisogno di lavorare e camminare e in seguito divenne un modo, per le famiglie contadine, di tentare l’arrampicata sociale dando in sposa una figliola dai piedi fasciati ad un uomo facoltoso; un’altra è culturale, in base ad una lettura fondamentalmente occidentalistica secondo cui la fasciatura dei piedi si era rivelata un ottimo metodo per dominare la donna, rendendola inabile a sottrarsi alla volontà del marito grazie alla difficoltà nel camminare che queste deformazioni alle ossa dei piedi implicavano; ultima chiave di lettura è quella estetica, infatti è conforme al canone di bellezza orientale che privilegia la donna dai piedi minuti, fasciati in preziosissime scarpine che stimolavano l’immaginario maschile cinese al pari della lingerie per gli europei.

Esistono casi poi, in cui la modificazione del corpo ha un fine anti-estetico: è finalizzata cioè a imbruttire, a rendere meno appetibili; succede in India come in Africa: le donne Apatani sono solite inserire dei dischi di legno nelle narici, dilatandole e compromettendo l’armonia del viso, per evitare le attenzioni dei maschi delle popolazioni vicine; le giovani donne dei villaggi camerunensi vengono sottoposte a dolorosissime pratiche di appiattimento del seno attraverso pietre arroventate e fasce contenitive per passare inosservate agli sguardi maschili, evitando violenze e gravidanze extramatrimoniali.  Sono invece sin troppo famose le cosiddette “donne giraffa” della tribù Padaung nell’Asia sudorientale, le quali indossano sin da piccole una serie di anelli al collo che determinano una compressione e un abbassamento delle scapole e della gabbia toracica (è da sfatare però la credenza che queste donne non possano togliere il lungo collare: si è a lungo creduto, erroneamente, che il collo atrofizzato e inerte potesse cedere senza sostegno) e che regalano ai turisti uno spettacolo irresistibile, tanto da far parlare di sfruttamento del “turismo etnico”, infatti il significato originario di queste decorazioni non è conosciuto, ma oggi certamente rappresentano un mezzo di sostentamento per queste tribù. Non si pensi che l’Occidente sia immune dalle pratiche di modificazione del corpo, anzi: è proprio qui che esse perdono il loro significato simbolico, rituale, religioso o utilitaristico per assumerne uno fondamentalmente estetico; è proprio qui che si tenta disperatamente di omologarsi al canone di bellezza o più semplicemente alla moda del momento alla disperata ricerca del consenso; è qui che una donna dalle labbra imbottite di silicone o botulino inorridisce di fronte alla foto di una ragazza Mursi, il cui labbro inferiore è dilatato a dismisura da un piattello di legno.

Ornella Balsamo

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