Pubblicato il: 2 Giugno, 2008

Lotta al doping: si sta facendo tutto il possibile?

sostanze dopantiIl termine doping, anche noto come drogaggio, suscita clamore in tutti gli appassionati di sport. Con questa parola, infatti, s’intende l’utilizzo di sostanze o l’adozione di pratiche non giustificate da condizioni patologiche dell’individuo, pertanto volte, attraverso un processo di modifica dell’organismo, ad alterarne le prestazioni agonistiche. E’ assai diffusa l’idea che questa prassi si sia affermata in epoca moderna, ma la storia ci insegna che la realtà è un’altra. Forme primordiali di attività dopanti risalgono al 668 a.C., periodo in cui gli olimpionici greci si nutrivano di funghi allucinogeni al fine di migliorare le prestazioni in occasione delle competizioni. Esempi analoghi, nel segno di una certa continuità, si possono trovare anche in ere successive. E’ sufficiente pensare all’abitudine diffusa tra gli Aztechi di cibarsi di cuore umano prima delle gare, oppure a quella estesa tra i Vichinghi ed i Romani (130 – 200 d.C.) di assumere misture di vino, fichi e carne cruda, nonché estratti vegetali ritenuti eccitanti, per incrementare i risultati dei loro sforzi. La ricerca di sistemi e composti sempre più sofisticati, finalizzati a tali obiettivi, ha così conosciuto un periodo di iniziale impennata nel XIX secolo e si è poi evoluta costantemente fino ai giorni nostri, conferendo al termine doping il significato che gli viene attualmente riconosciuto.

Il caso più eclatante, in tal senso, riguarda la DDR. Il piccolo Stato dell’Europa centro-orientale, infatti, aveva posto in essere già dai primi anni ’60 un programma gestito sotto lo stretto controllo governativo che si basava sulla selezione dei migliori talenti naturali, ai quali venivano sistematicamente somministrate sostanze dopanti. Non a caso, a fronte di un bacino demografico limitato, la Repubblica Democratica Tedesca ha occupato la seconda posizione nel medagliere olimpico del 1976, 1980 e 1988. Episodi clamorosi come questo hanno contribuito fortemente ad incrementare le normative ed i controlli volti a limitare un simile fenomeno, tanto che, nel 1999, si è giunti – per volere del Comitato Olimpico Internazionale – all’istituzione della Wada (l’agenzia mondiale per la lotta al doping), la quale si è occupata, fin dai primi giorni di vita, di fornire aiuto alle varie federazioni nazionali mediante il perfezionamento di test antidoping e l’individuazione di sostanze proibite di ultima generazione.

Appare evidente dalla linea d’azione intrapresa dalle istituzioni sportive internazionali che la via principale per combattere il drogaggio sia stata individuata nell’esame clinico precedente o successivo alla gara. A tal proposito, tuttavia, qualche legittimo dubbio sorge spontaneo. E’ noto, infatti, come determinate sostanze non siano rilevabili nell’organismo se assunte con congruo anticipo rispetto allo svolgimento della prestazione motoria. In relazione a quest’ultima affermazione, l’immediata obiezione che può essere sollevata riguarda l’esistenza dei cosiddetti controlli a sorpresa, i quali però non sembrano rappresentare la soluzione ideale al problema, poiché in virtù delle numerose manifestazioni che affollano il calendario sportivo internazionale, coinvolgendo di conseguenza milioni di atleti, non consentono di avere un monitoraggio capillare dei loro parametri biologici. Non a caso, difatti, è accaduto che alcuni soggetti risultati positivi ad un esame antidoping, siano riusciti ad evitare ogni sorta di sanzione giustificando le proprie anomalie organiche come naturali sovrapproduzioni ormonali.

E’ impossibile, quindi, sconfiggere questo tipo di fenomeno? Un sistema ci sarebbe, ma allo stato attuale pare davvero impraticabile. Sarebbe sufficiente, infatti, che le case farmaceutiche introducessero dei marker all’interno dei medicinali, in maniera tale che, all’atto di un controllo, sarebbe possibile distinguere le sostanze prodotte autonomamente dall’organismo da quelle immesse per via esterna. Nessuna obiezione, si capisce, sorgerebbe da quanti assumono i farmaci per scopo terapeutico, ma qualche osservazione – si noti il velato eufemismo – scaturirebbe da coloro i quali li impiegano in pratiche non propriamente lecite. E’ opportuno considerare, inoltre, che il giro d’affari prodotto dal doping si attesta attorno ai 600 milioni di Euro solo in Italia (oltre 18 miliardi nel mondo, come valutato nel 1998 dall’università finlandese di Jyväskylä) per comprendere come anche le stesse aziende farmaceutiche non mostrino particolare entusiasmo. Se a ciò si aggiunge che – come dichiarato dal compianto ciclista Valentino Fois, ex gregario di Marco Pantani, durante un’intervista rilasciata al programma televisivo “Le Iene”, poche settimane prima della sua prematura scomparsa – ad alcuni medici dello sport viene garantita una percentuale sugli introiti derivanti dai risultati conseguiti dagli atleti, è ancora più facile rendersi conto della gravità della situazione. In un simile contesto, saturo di contraddizioni, dove operano multinazionali che producono, al contempo, medicinali adibiti alla cura delle patologie ed al drogaggio; dove i dottori prescrivono farmaci per guarire i malati e dopare i sani; dove gli atleti praticano sport infischiandosene della relativa etica e dove i soggetti preposti ai controlli non possono avvalersi di prove inconfutabili, pare evidente come l’obiettivo di annientare il doping sia un traguardo irraggiungibile.

Andrea Bonfiglio

Displaying 1 Commento
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  1. angelo ha detto:

    ciao a tutti per me il doping è di piu’ nel settore amatoriale ci vorrebbero piu’ controlli ,anche nel podismo c’è ne sono tanti o forse sono dei prodigi ciaooooooooo

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