Pubblicato il: 3 Febbraio, 2009

Viaggio nel blues

crossroads320Esiste nel profondo dell’America nera un incrocio fra due strade polverose, sormontato da un silenzioso albero. Pare che qui, ai “Crossroads”, quelli che sarebbero diventati i veri bluesmen vendessero la loro anima al Diavolo per imparare a suonare la chitarra. Ma non a suonarla bene, o benissimo. A suonarla davvero, a essere un tutt’uno con lei.  E’ tra le nebbie di questa leggenda che nasce la mitica figura di Robert Johnson, il più grande Bluesman di tutti i tempi, colui che attraverso il crudo stridere della sua chitarra cantava con voce triste delle sue pene e dei suoi dolori, di un treno che si allontana e del cielo che piange. Però non è un blues facile il suo.. E’ secco, spartano, essenziale, il tipo di canzone che ci si immagina cantato in una  veranda di una catapecchia di legno in Mississippi durante una giornata di caldo soffocante. Ma è il blues in sé a non essere genere facile, soprattutto per chi cerca una musica per svagarsi. Il genere nasce del resto da antichi canti che i lavoratori neri intonavano mentre erano costretti ai lavori più faticosi. Certo, esiste anche un tipo di blues molto allegro, vitale, coinvolgente, ma di base il genere è composto da canzoni velate da un’immensa tristezza e nostalgia che trasuda da ogni corda pizzicata. Non è solo la chitarra la protagonista del Blues, ma un ruolo importantissimo nel cuore di ogni canzone lo ha l’armonica, spesso protagonista di lunghi e articolati assoli (e qui è necessario fare almeno un nome: Little Walter). Poi anche la voce che non può assolutamente essere una voce qualunque. Deve essere sporca, roca, tremolante, calda. Sono poche le eccezioni al predominio dei cantanti di colore in questo campo, due su tutte Eric Burdon con la sua melodiosa profondità e Johnny Winter con i suoi incredibili acuti.

Diretto antecedente del rock, con l’avvento di questi ultimi generi, è andato un po’ in crisi, anche se come per ogni passaggio di consegne il cambiamento non fu poi così brusco. Molti dei principali gruppi rock nascono con pesanti influenze blues (e per principali si intendono vere e proprie leggende come i Led Zeppelin o i Black Sabbath), che non si esauriscono nemmeno nei migliori lavori di oggi. Una seconda giovinezza fu comunque vissuta con la pellicola del 1980 The Blues Brothers. La cosa curiosa è che questo film contiene in pratica una sola canzone davvero Blues, Boom Boom del grandissimo John Lee Hooker. Il resto della colonna sonora è molto più orientata verso il rhythm’n’blues e il soul, ma è innegabile che il contributo di questo film alla rivitalizzazione del genere sia stato rilevante. La struttura musicale del Blues è relativamente semplice, con movimenti tecnicamente facili e ripetuti spesso nelle varie canzoni (basti ricordare l’inizio della celebre Dust My Broom di Robert Johnson e ripresa da altri grandi artisti del calibro di Elmore James e Howlin’Wolf): è più una musica difficile da afferrare che da suonare, da sentire che da ascoltare. E’ bello chiudere questo articolo, sperando che invogli qualche lettore ad approfondire la conoscenza di questo splendido genere musicale, con una citazione che descrive in poche, perfette, parole ciò di cui abbiamo parlato finora: “blues ain’t nothin’else but a good man feelin’ bad”

Tomas Mascali

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