Pubblicato il: 17 Giugno, 2009

“Il doppio Stato” la parabola di un’ideologia

dop.statoMarco Travaglio sposa la teoria del “Doppio Stato”. È ben strano per un conservatore liberale, come lui stesso si definisce. Fino agli anni Ottanta, infatti, mentre quest’allievo di Indro Montanelli votava DC turandosi il naso, la tesi in questione era una parte essenziale dell’ideologia del Partito Comunista Italiano.

Era la visione dei dietrologi, che guardavano allo Stato democratico come alla parte visibile, emersa, dell’intero apparato. Dietro di esso, o addirittura ‘dentro’, si sarebbe celato un secondo Stato, coinvolto in un disegno eversivo, dispiegatosi fra la Strage di Portella della Ginestra e la “Strategia della tensione”. L’obiettivo era impedire al PCI di andare al governo, ancorando saldamente l’Italia alla sfera d’influenza occidentale, a costo di realizzare una “democrazia bloccata”. La tesi del “Doppio Stato” ha avuto vita lunga. Non poteva essere altrimenti, vista l’egemonia che i comunisti italiani seppero costruire in campo accademico, col cemento dell’auctoritas di una cultura, figlia della tradizione idealista. Fu grazie a questo retroterra che la tesi del “doppio Stato” poté resistere a duri attacchi. Il PCI ne dovette fronteggiare alla sua sinistra: dal Movimento Studentesco degli anni Sessanta e poi dalle “Brigate rosse”. I contestatori del ’68, sulla scorta dell’ideologia leninista, sostenevano che lo Stato era organicamente antipopolare, poiché strumento del dominio di classe. Nel 1978, invece, le BR interrogarono Aldo Moro per scoprire i referenti del SIM, lo “Stato Imperialista delle Multinazionali”. Si sarebbe trattato di un coordinamento di Stati a guida statunitense, capace di dettare le politiche nazionali, sulla base degli interessi del blocco occidentale. La tesi leninista finì nel dimenticatoio, mentre una simile a quella del SIM è stata riproposta, da Toni Negri e Michael Hardt, in “Impero”.

“Il Doppio Stato”, viceversa, ha resistito nelle università e nei testi divulgativi. Era e resta un’ideologia, cioè una visione dei fatti, funzionale a un progetto politico; in questo caso, a quello togliattiano della “democrazia progressiva”, da perseguire attraverso le riforme prescritte dalla Costituzione. Serviva e serve davvero a comprendere i Misteri d’Italia? Che il nostro, per quarant’anni, sia stato un Paese a sovranità limitata, lo dimostrano documenti d’Archivio statunitensi. Uno Stato non è però una costruzione logica, ma un’organizzazione fatta di uomini e apparati. Nel 1946 Togliatti, nonostante le Sinistre fossero in maggioranza all’Assemblea Costituente, si guardò bene dal mettere all’angolo la DC, imponendo l’epurazione dei funzionari compromessisi col fascismo. Entro il 1949, Scelba sostituì, con ex uomini dell’Ovra, tutti quelli nominati dai CLN alla testa delle Prefetture. All’epoca di Piazza Fontana, Prefetto di Milano era Marcello Guida, ex direttore della colonia penale di Ventotene, dove furono confinati dirigenti comunisti. Questo era lo Stato cui si riferivano i dietrologi e non era “doppio”.


Enrico Sciuto

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