Pubblicato il: 29 Dicembre, 2009

La quinta mafia è ufficiale

Ora è ufficiale. Dopo la mafia siciliana, la ‘ndrangheta calabrese, la camorra campana e la sacra corona unita pugliese, anche il Lazio ha una sua organizzazione malavitosa indipendente da tutte le altre. Lo sostiene un dossier firmato da “Libera Informazione”, osservatorio sull’informazione per la legalità. Secondo quanto pubblicato nel rapporto, la mafia laziale nasce nelle borgate della capitale a metà degli anni ’70 e si sviluppa negli anni ’80 attraverso l’intensificarsi dei contatti della Banda della Magliana con le organizzazioni del Sud. Oggi, spiegano dall’osservatorio “le cosche sono laziali a tutti gli effetti. Sono imprenditori apparentemente rispettabili, che hanno studiato nelle migliori università, che mettono da parte le differenti origini e sanno fare affari senza pestarsi i piedi”. Naturalmente con il necessario ed immancabile appoggio delle istituzioni politiche.

Droga, usura, prostituzione, contraffazioni, abusivismo e appalti le attività preferite dai mafiosi del Lazio che si alleano spesso e volentieri anche con clan cinesi, russi, albanesi, romeni e nigeriani. Se è vero poi che le mafie sono holding finanziarie infiltrate nelle amministrazioni e nella politica ai più alti livelli, va da se che esse puntino con forza su Roma e dintorni.

Al di la della semplice battuta (in realtà non c’è niente da ridere) il marchio di garanzia D.O.C. assegnato al Lazio per l’esclusività della sua malavita, smentisce definitivamente il fronte di chi nega che nella regione possa esistere un circuito criminale indipendente fortemente radicato nel territorio e che esso possa esser interamente gestito delle organizzazioni del Sud. La quinta mafia laziale (come è stata immediatamente ribattezzata), dunque, fa il suo ingresso nel panorama malavitoso nazionale e va ad affiancare quelle regioni già ‘tradizionalmente occupate’, a dimostrazione che il mercato della criminalità in Italia vive una stagione di florida attività ed è ben lungi dall’essere sconfitta.

Aldo Nicodemi

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