Pubblicato il: 29 Giugno, 2009

Si può fare

locandinaMilano, 1983. Nello (Claudio Bisio), sindacalista cacciato dal sindacato perché troppo favorevole al mercato, viene mandato a dirigere una cooperativa sociale. Questa è chiamata “Cooperativa 180” in onore della legge 180/78 detta anche legge Basaglia, ideata da Franco Basaglia, che prevede la chiusura dei manicomi e trattamenti psichiatrici innovativi. Nello viene catapultato in una realtà fatta di matti che svolgono lavori “socialmente utili”, come attaccare francobolli sulle buste, e cerca di utilizzare le loro potenzialità in modo migliore, per recuperarli alla vita. Li chiama “soci” e, armato di lavagnetta e pennarello, comincia a interrogarli su quello che vorrebbero realizzare usando una sola parola chiave: “si può fare”. Andando contro le idee vecchio stampo del professor Del Vecchio (Giorgio Colangeli), medico psichiatra che li ha in cura, scelgono di diventare parquettisti e, sotto la guida di Nello, cominciano a eseguire i primi lavori. Dopo scarsi risultati arriva la celebrità: Nello deve andare al funerale dell’amato Berlinguer e lascia i “soci” da soli. Questi cercano di lavorare con apparente serenità, ma terminato il legno, entrano nel panico. Solo l’intervento di due di loro, abilissimi nel comporre puzzle con le rimanenze del parquet, li salva dal caos. Da quel momento la loro azienda diventerà famosa ricevendo richieste persino da Parigi. Ad affiancare Nello nella sua impresa troviamo la fidanzata (Anita Caprioli) e un giovane medico basagliano (Giuseppe Battiston).  Così da commedia (umana) il film diventa quasi favola. Ma la tragedia e il lutto, inaspettati, arrivano alla fine a spezzare l’incantesimo e a riportare Nello, in fondo un po’ matto come i suoi “soci”, come loro escluso dalla società, alla cruda realtà. Quello che nella finzione cinematografica Nello tenta e realizza con i suoi matti, fu davvero tentato e realizzato all’inizio degli anni ‘80, esattamente dalla Cooperativa Noncello, attiva a Pordenone, diretta da Rodolfo Giorgetti, che, partita con pochi soci-malati, oggi impiega circa trecento persone. Lo sceneggiatore Fabio Bonifacci, lesse un articolo anni fa riguardante la Cooperativa Noncello, che rappresentava la prova che se si vuole, “si può fare”.  La sceneggiatura, scritta a quattro mani con Giulio Manfredonia, il regista, è in grado di divertire e allo stesso tempo fare riflettere. Niente è dato per scontato e tutto è raccontato in modo semplice, senza ideologia e idealismi. Il merito maggiore della pellicola è di raccontare la storia di una delle tante cooperative sorte negli anni ’80, una di quelle storie che passa sotto tono nei giornali o in televisione. Purtroppo però il film, presentato alla terza edizione (2008) del Festival internazionale del film di Roma, fu incomprensibilmente escluso dal concorso. Peccato. La storia narrata e gli attori avrebbero meritato di più che qualche semplice applauso.

Giuseppina Cuccia

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