Pubblicato il: 1 Agosto, 2009

Quanto ti ho amata Coney Island

coney_islandA sud di Brooklyn, al di là del cemento armato di Manhattan. Coney Island: un cimitero di autobus, un lunapark ormai chiuso, il molo che si perde all’interno dell’oceano. Non ci si può sbagliare. E’ il capolinea della linea F, poi tutti a terra e aspettare un treno per il ritorno. Quanto ti ho amata. Si può ingannare il tempo, qui dove non vi è nulla, dove nemmeno il tempo c’è più. Affollata d’estate, d’inverno desolata come le lamiere accartocciate dell’ottovolante e della ruota panoramica che svettano dal suo caratteristico skyline. Quello che non cogli dalla città, ma che da qui ti rendi conto essere unico. Qualche meditabondo signore pesca. Una coppia lungo la passerella in legno. I venditori di hot dog stanno appollaiati nei loro antivento a sonnecchiare. È il quartiere che dorme. Ed io ti ho amata. Fu un pomeriggio d’inverno la prima volta. Quella volta. Era la prima volta che vedevo l’oceano. E lì a Coney Island il molo si addentra all’interno dell’oceano quasi a voler sentire i racconti più segreti che questo ha da dire. Di notte troppo ventosa. Fredda. Buia. Lontano da tutto.  Nonostante all’alba i guerrieri vengano a giocare. O almeno nei film. Nonostante i gabbiani che ricordano alcuni passaggi dell’Hitchcock che fu. Succede che a volte in città c’è la neve e lì la sabbia. Come per dire che vetro e cemento armato sabbia erano e sabbia torneranno. Teologia dell’edilizia, escatologia del riciclaggio. E lì è stupendo, click foto, un sofisticato attimo di perfezione. Sognando a grandi falcate siamo portati ad associare gli Stati Uniti a New York, New York a Manhattan, Manhattan ai grattacieli. Ma così perdiamo tutto. Come dire che il cielo è sempre azzurro in estate, che ogni tramonto è rosso, che ogni storia d’amore è uguale. Si rischia di rimanere soffocati lungo queste tratte che collegano all’interno della nostra memoria i luoghi più disparati. Come fili tesi su cui stendere panni e fare poche considerazioni. Coney Island per me è stata la riconquista del contorno, l’affermazione dell’intimo privato. Qui si ha il tempo di riscoprirlo. Sarà che il tempo qui non c’è. Ma non perché si è di fretta e si deve correre. Perché qui è fermo. Come Luna, primo parco divertimenti, oggi camposanto dei tempi andati che ricorda una delle Cosmicomiche di Calvino. Di queste caleidoscopiche lamiere, di questi funambolici rottami l’anima l’han vista in pochi. Woody Allen l’ha immortalata per sempre in Radiodays. Qualche venditore di souvenir in cianfrusaglie di ogni tipo, ma frugando bene tra ceste e scatoloni qualcosa di buono salta sempre fuori. Che sia una cartolina, che sia una palla di vetro, che sia qualche utilissima cianfrusaglia senza senso alcuno in grado di strappar un sorriso. È la poetica della recherche proustiana. E la domanda di fondo non è tanto chiedersi perché mai sprecare mezza giornata per questo amore da rigattiere. L’interrogativo vero è perché mai non si dovrebbe farlo. Quanto può valere un Luna Park in disuso? Ebbene l’effetto che mi fa è quello delle macchinine di quando ero piccolo che conservo in una scatola di cartone infeltrito in casa. La riscoperta fa bene all’anima. E poi, forse, il Luna Park vero è un altro. In centro. Camuffato tra luci al neon e led.

Luca Colnaghi

Lascia un commento

Devi essere collegato to post comment.