Nonostante “papi”, quote rosa basse
Le quote rosa consistono in alcune norme legislative o in semplici articoli all’interno degli statuti dei partiti che regolano, al momento della costituzione delle liste elettorali, la quota proporzionale della presenza di donne candidate, indipendentemente se si tratta di candidature per il Parlamento europeo, per quello italiano o per le regioni. Oggi, si cerca di rispettare queste norme su larga scala, ma all’interno dell’Unione Europea, le differenze di rappresentanza femminile tra i diversi Paesi è abbastanza netta e sostanziale. Anche se, nelle recenti elezioni per il Parlamento europeo si è registrato il record di donne elette: il 35%. Dicevamo però della differenza sostanziale che esiste fra i diversi Paesi: basti pensare che in Finlandia la percentuale di donne elette arriva al 62% e in Svezia al 56%; fanalino di coda è Malta che non ha addirittura nessun rappresentante “rosa”, seguito dalla Repubblica Ceca la cui percentuale si assesta al 18%. Risultato modesto, nonostante veline, soubrette, escort tanto millantate, anche per l’Italia: la nostra percentuale si ferma al 22%. A questo proposito, il Partito Democratico ha provato a suggerire una soluzione: introdurre la doppia preferenza, con la scelta obbligatoria di almeno una donna. A mio modesto avviso, è una proposta scialba e che non va ad addentrarsi nel profondo del problema. I Paesi scandinavi, ad esempio, hanno avuto un decollo della rappresentanza femminile nei primi anni ’70, molto prima, quindi, dell’introduzione di norme o quote varie. Questo per dire che il sistema delle quote o delle doppie preferenze resta di difficile applicazione, se non esiste una solida base di potere dato alle donne, vista la scarsa volontà degli uomini ad accettare la presenza femminile nei luoghi di rappresentanza popolare. Sono passati 60 anni da quel giorno in cui le donne votarono per la prima volta: quello fu un grande risultato, ma quando si riuscirà a ottenere anche una giusta rappresentanza politica?
Massimiliano Mogavero