Pubblicato il: 5 Maggio, 2009

Quando l’opposizione la fa il Quirinale

napolitanoQualcuno lo aveva criticato accusandolo di non aver fatto “voce grossa” nei confronti di alcuni decreti varati dal governo ai limiti della legittimità costituzionale; altri addirittura quasi lo snobbano, definendolo un semplice “notaio”, alludendo alla semplice qualifica rappresentativa della carica che ricopre. Oggi, alla luce delle sue ultime dichiarazioni, va dato atto al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, di aver sciolto tutti i dubbi riguardo l’autorevolezza del proprio ruolo. La prima carica dello Stato – nei giorni che hanno preceduto la Festa Nazionale del 25 aprile – ha tirato in ballo proprio la Carta Costituzionale di cui, in base all’ordinamento italiano, proprio l’inquilino del Quirinale è primo garante nell’esercizio delle sue funzioni. Nel discorso in occasione della prima “Biennale della Democrazia”, tenutasi a Torino lo scorso 22 aprile, il Presidente Napolitano ha espresso parole ferme e decise dichiarando che: “La Costituzione repubblicana non è una specie di residuato bellico, come da qualche parte si vorrebbe talvolta far intendere”, lasciando intuire, a sua volta, che quel “da qualche parte” – solo in apparenza politically correct – è un chiaro ed  esplicito  riferimento a quella parte del Paese che, in nome della presunta urgenza di alcuni provvedimenti, in nome della tanto sbandierata “governabilità”, cerca di eludere le regole basilari della democrazia. “Non si può – ha poi aggiunto Napolitano – ricorrere a semplificazioni di sistema e a restrizioni di diritti in nome del dovere di governare”. Devono aver fischiato le orecchie al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e ai membri del suo governo che, nei mesi scorsi, in tutti i modi, avevano lanciato sfrontati attacchi proprio nei confronti della Carta Costituzionale definendola vecchia, datata e inadatta a orientare una realtà – quella italiana – che è profondamente mutata negli ultimi sessant’anni. Certo, nessuno mette in dubbio che la realtà del nostro Paese abbia subito dei radicali cambiamenti nel corso dei decenni; nessuno nega che, tramite riforme ampiamente condivise da tutte le parti politiche, si possa anche procedere a modificare alcune parti della Costituzione. Ma sarebbe bene ricordare, di continuo – così come ha fatto Napolitano – che quei valori universali iscritti nella Costituzione Italiana, soprattutto nella sua prima parte, servono e dovranno servire (anche in futuro, si spera) a porre dei limiti all’eventuale populismo sfrenato di quei governanti che, misurando la propria forza e  la propria legittimità d’azione soltanto in relazione all’investitura e al consenso popolare, potrebbero agire al di là degli interessi della nazione.

Aldo Nicodemi

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